Sangue migrante: solidarietà e rischi

 
Il fenomeno migratorio non è un fatto temporaneo e provvisorio, ma va inquadrato quale componente strutturale del tessuto sociale, economico, politico e culturale del nostro, come di tutti i Paesi del mondo.I dati riportati dal XXIII Rapporto Immigrazione (Caritas/Migrantes) del 2013, ci indicano che oltre 232 milioni di persone, cioè più del 3% della popolazione mondiale, hanno lasciato il proprio Paese nel 2012 per vivere in un’altra nazione, mentre nel 2000 erano 175 milioni.L’Europa e l’Asia – con oltre 70 milioni di migranti ciascuno- sono i continenti che ospitano il maggior numero di migranti, pari a circa i 2/3 del totale di entrambi.
 
Ad oggi In Italia risiedono circa 5 milioni di stranieri, pari al 7,4% della popolazione totale. Gli stranieri residenti sono aumentati di oltre l’8% rispetto all’anno scorso e il Paese di origine più rappresentato, con il 21,2% del totale, è la Romania, seguono a distanza (10,6%) Albania, Marocco, Cina (4,95) e per ultimo con il 2,3% , la Tunisia, dunque ogni 10 cittadini stranieri residenti, circa 3 sono comunitari.La popolazione dei donatori immigrati è pari a circa 50.000 persone (3-4% dei donatori totali).
 
Il recente “fenomeno  Ebola”  ha riacceso, anche in chiave strumentale, la paura del contagio di malattie infettive associate ai flussi migratori, talvolta sconfinata nell’isteria. Si è letto di un velivolo della Lauda Air ripartito vuoto da Comiso perché il comandante non ha ritenuto validi i certificati medici di alcuni profughi originari di paesi considerati “a rischio”.Alcuni politici hanno agitato lo spettro di un ritorno della tubercolosi e a poco valgono le rassicurazioni di esperti del settore che replicano che quello degli immigrati che portano le malattie è un vecchio cliché che periodicamente viene riproposto. In realtà è un cliché che non trova conferma dalle statistiche.
 
D’altro canto gli esperti dell’EcoHealth Alliance statunitense, che raccoglie epidemiologi, medici, veterinari e biologi intenti a studiare questo nuovo settore della medicina chiamato “ecologia delle malattie”, hanno spiegato di recente che tutte le patologie emergenti degli ultimi 30-40 anni sono da ritenere il risultato delle modifiche nella demografia mondiale e degli sconfinamenti dell’uomo in terre non abitate in precedenza. «Solo gli uomini primitivi, cacciatori e raccoglitori, non sapevano che cosa fossero le epidemie: quando sono comparse agricoltura e allevamento l’uomo ha iniziato ad aggregarsi nelle città e le malattie infettive hanno cambiato volto – spiega Giovanni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto Superiore di Sanità -. Già nell’antica Mesopotamia 12 villaggi vicini nella zona fra il Tigri e l’Eufrate contavano in tutto oltre 500 mila abitanti, la soglia al di sopra della quale i germi responsabili delle malattie infettive si “sostengono” e non scompaiono dalla popolazione, diventando perciò in grado di dar luogo a focolai epidemici. Negli ultimi cento anni la popolazione umana è aumentata moltissimo: la ricerca di nuovi territori e la necessità di dare sostentamento a miliardi di persone hanno creato, in diverse aree del mondo, “incubatori” ideali perché i virus circolino, si riproducano e mutino velocemente».
 
Secondo l’EcoHealth Alliance le malattie emergenti sono quadruplicate nell’ultimo mezzo secolo proprio perché l’uomo ha intensificato lo sfruttamento della natura soprattutto nelle zone tropicali, ma, come osserva Concetta Mirisola, direttrice dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e il contrasto delle malattie della povertà (INMP) di Roma – “dobbiamo però vedere anche i lati positivi: la modernità ha messo in pericolo gli ecosistemi e noi stessi, ma ci ha anche regalato strumenti per combattere le malattie infettive come vaccini e antibiotici” . Dunque, nonostante la paura di epidemie che vengano a sconvolgere le nostre vite, in Occidente la mortalità oggi è legata soprattutto a patologie cronico-degenerative, come diabete, malattie cardiovascolari, tumori. Il vero dramma riguarda le aree dove si ha un doppio carico di malattie, come molte zone del Sudamerica e dell’Africa in cui il rischio di infezioni “liberate” dall’impatto dell’uomo sul l’ambiente è elevato, ma non c’è la disponibilità di cure e si soffre anche di patologie croniche, perché l’Occidente ha importato stili di vita scorretti e la povertà non consente l’accesso a cure e cibi sani». Luoghi come questi sono vere e proprie bombe a orologeria, incubatori ideali di nuove malattie che potrebbero prima o poi riguardare tutto il globo. Poiché il sangue è uno dei vettori principali di tali patologie, abbiamo rivolto alcune domande al dottor Gaetano Amodeo, medico dell’U.O.C. Medicina Trasfusionale del Presidio Ospedaliero San Giovanni di Dio di Agrigento,  che recentemente durante un seminario di aggiornamento proposto dalla SIMTI, ha affrontato questo aspetto del rischio associato a donazioni e sicurezza di sangue raccolto e trasfuso da volontari extracomunitari.
 
Quali sono le malattie trasmissibili vecchie e “nuove” (mi riferisco alle febbri emorragiche tropicali) che vengono monitorate sui donatori e quali i rischi associati alla loro contrazione da parte di chi viaggia in paesi tropicali?
 
La possibilità di effettuare con relativa facilità e velocità spostamenti da un capo all’altro del globo, l’apertura delle frontiere ed il costante incremento dei flussi migratori sono tutti fattori che hanno concorso a determinare da un canto una ricomparsa della circolazione di agenti patogeni in aree in cui erano stati praticamente debellati e, di conseguenza, una recrudescenza di malattie “vecchie” che erano state ritenute “estinte” e, d’altro canto, un passaggio di agenti patogeni da un’area endemica ad una “vergine”.
 
Nel vasto capitolo delle condizioni patologiche che rispondono a queste caratteristiche, rientrano a pieno titolo le febbri emorragiche, che destano un grande interesse anche ai fini trasfusionali. Con la dizione “Febbri emorragiche tropicali” identifichiamo una numerosa serie di malattie febbrili acute caratterizzate da malessere, mialgie, prostrazione e caratterizzate dalla comparsa di manifestazioni emorragiche più o meno importanti riconducibili ad anomalie generalizzate della permeabilità vascolare.
 
Tra queste “nuove” infezioni potenzialmente trasmissibili con la trasfusione ricordiamo: Ebola (tornata di recente alla ribalta), Dengue, Chagas, Chikungunya.
 
Purtroppo, ad oggi, la disponibilità di test eseguibili sui donatori è piuttosto limitata: al di là delle indagini di legge, le strutture trasfusionali possono effettuare sul prelievo del donatore, in maniera discrezionale, test aggiuntivi che ritengano opportuni ai fini della garanzia della sicurezza del ricevente. La scelta ricade, ovviamente, in maniera mirata su quei test che offrono una reale possibilità di individuare eventuali affezioni del donatore, come, ad esempio, la scelta di eseguire il test NAT per la ricerca del WNV (West Nile Virus) nelle regioni d’Italia coinvolte dalla circolazione del virus. Tuttavia, un’accurata selezione del donatore effettuata non soltanto sulla base della visita medica e delle indagini laboratoristiche, ma anche alla luce di una scrupolosa anamnesi (soprattutto nel caso di donatori che abbiano soggiornato in aree endemiche o nel caso di donatori extracomunitari provenienti da aree notoriamente “pericolose”) mirata ad indagare l’eventuale presenza di un rischio infettivo asintomatico trasmissibile, rappresenta un valido e sicuro meccanismo di tutela del ricevente.
 
Rispetto ai “rischi” che corre un donatore che si reca in aree endemiche, o comunque a rischio, sul sito SIMTI è disponibile una sorta di “guida” per la selezione del donatore che viaggia e dei nuovi cittadini (intesi come donatori extracomunitari). In linea di massima possiamo dire che il rischio di contrarre un’infezione durante un soggiorno in area endemica per malattie tropicali si riduce notevolmente mettendo in atto doverose e, nella maggior parte dei casi, semplici precauzioni igienico-sanitarie. Per maggiore cautela, è comunque previsto un periodo di sospensione dalla donazione, così come indicato dalla normativa cogente (decreto 03 Marzo 2005).
 
Chi effettua la selezione sui donatori stranieri? se il donatore non ha padronanza della lingua italiana per comprendere bene il consenso informato o rispondere ai quesiti anamnestici, i medici che effettuano la selezione sono affiancati da mediatori linguistici?
 
Il medico selezionatore del Servizio Trasfusionale (SIMT) o delle Unità di Raccolta delle Associazioni di Donatori di sangue (UdR) si ritrova, sempre più spesso, nella condizione di verificare i requisiti di ammissione alla donazione di cittadini stranieri. I criteri su cui basarsi per assegnare l’idoneità sono fondamentalmente gli stessi che vengono applicati a tutti i donatori. Risulta di fondamentale importanza indagare sulla frequenza di eventuali rientri nel Paese di origine e sugli aspetti socio-sanitari (dove e con chi vive). Una discreta conoscenza della lingua italiana ed il possesso di regolare permesso di soggiorno (ovvero regolare iscrizione al SSN, in maniera tale da garantire l’identificazione) rappresentano la condicio sine qua non per accedere alla donazione. In tale senso, potrebbe risultare decisivo il ruolo dei mediatori culturali (laddove possibile ricorrere alla collaborazione di queste figure), che possono aiutare nella diffusione della cultura della donazione presso le comunità straniere. Purtroppo, nella realtà lavorativa (mi riferisco all’esperienza personale presso il SIMT di Agrigento) non viene fornita al medico selezionatore, alcuna formazione specifica in merito, ma viene, in ogni caso, seguita una comune linea di condotta da parte di tutto lo staff medico ed i criteri applicati per la conduzione dell’intervista, della visita e la raccolta dell’anamnesi sono orientati in maniera mirata. Allo stesso modo, non è previsto l’affiancamento di un mediatore culturale che potrebbe intervenire per spiegare, in via preliminare prima della raccolta dell’anamnesi da parte del medico, i punti salienti del questionario. La valutazione viene, pertanto, effettuata sulla scorta delle direttive da normativa ed alla luce delle novità tecnico-scientifiche nell’ambito della selezione del donatore. È fondamentale che le domande vengano formulate in maniera chiara e comprensibile e, a questo scopo, stiamo pensando, sulla falsa riga dell’esperienza dei colleghi di Bologna, di costituire un gruppo di studio per la formulazione di un questionario costruito ad hoc per facilitarne la compilazione da parte dei donatori stranieri ed allo scopo di standardizzare i criteri di selezione.
 
Qual è la percentuale di donatori in ambito di immigrati stabili/regolari?
 
A livello nazionale, nonostante non sia disponibile un dato ufficiale univoco, si contano all’incirca 125-150.000 donatori stranieri. Presso il SIMT di Agrigento afferiscono (complessivamente, tra donatori del Centro e delle UdR) circa 120 donatori stranieri (che corrispondono, grossomodo, al 4% del totale dei donatori). D’altra parte, gli immigrati in Italia sono per lo più giovani e sani e questo fa di loro un’importante “risorsa” per raggiungere e mantenere su tutto il territorio nazionale un’adeguata autosufficienza sangue.
 
Ha riscontrato nella sua attuale esperienza una maggiore attenzione “ansiogena” da parte degli italiani verso la popolazione immigrata in tema di rischio trasfusionale? esiste la paura di contrarre malattie anche senza scambio di fluidi corporei, solo per il sospetto che il sangue non sia sufficientemente controllato anche da nuove infezioni?
 
Non mi è mai capitato di ricevere richieste da parte dei pazienti riceventi o dei loro familiari di non trasfondere sangue di donatori stranieri. L’attività del SIMT viene svolta nell’applicazione del criterio di protezione della salute umana, inteso come tutela tanto del donatore quanto del ricevente. Questo messaggio viene costantemente ribadito a tutti i nostri donatori che, peraltro, non hanno mai mostrato perplessità sulla presenza, in sala donazioni, di donatori stranieri. Tuttavia, non è da escludere che il pregiudizio, manifesto o latente, e gli episodi xenofobi, che periodicamente tornano agli onori della cronaca, potrebbero condizionare anche il mondo della donazione, allarmando i pazienti che necessitano di terapia trasfusionale: tuttavia la qualità dei controlli sanitari che vengono effettuati su tutti i donatori è una garanzia più che sufficiente a fugare ogni dubbio a riguardo.
 
Gloria Pravatà