L’ABC dell’epatite E

 
Nell’alfabeto delle epatiti virali, la forma ‘E’ nel nostro Paese è ancora poco conosciuta, come nel resto dei Paesi industrializzati. Ma potrebbe essere solo questione di tempo; sia i CDC statunitensi che ’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno puntato la loro attenzione su questa infezione ancora poco conosciuta e quindi sotto-diagnosticata, auspicando che si arrivi presto a tracciarne il reale profilo epidemiologico in tutti i Paesi del mondo. Dal New England Journal of Medicine arriva intanto la notizia delle ottime performance di un vaccino anti-epatite E sperimentato in Cina.
 
Nell’editoriale di accompagnamento allo studio, Eyasu Teshale e John W. Ward,Division of Viral Hepatitis, Centers for Disease Control and Prevention, Atlanta (USA) –  auspicano dunque la diffusione di test quali il dosaggio degli anticorpi anti-HEV e dell’HEV RNA, oltre ad una migliore sorveglianza sanitaria, al fine di individuare le popolazioni a maggior rischio, che potrebbero trarre beneficio dalla vaccinazione. Nel frattempo  – proseguono gli editorialisti – sarebbe auspicabile che i medici  americani includessero nella diagnosi differenziale delle epatiti anche l’infezione da HEV, soprattutto nei pazienti appena rientrati da un viaggio in regioni dove questa infezione è endemica o dopo aver escluso cause più frequenti di epatite.
 
Per saperne di più abbiamo intervistato due grandi esperti in materia, il Prof. Alessandro Zanetti e la Prof. ssa Luisa Romanò, del Dipartimento di Scienze Biomediche per la Salute dell’Università di Milano.
 
Innanzitutto il quadro epidemiologico e i sintomi associati a questa infezione virale
 
L’epatite E è causata da un piccolo (diametro 27-34 nm) virus non avviluppato, con un genoma costituito da un RNA a singolo filamento, classificato nella nuova famiglia delle Hepeviridae, genere Hepevirus. Esistono quattro diversi genotipi del virus dell’epatite E, ciascuno dei quali ha una differente distribuzione geografica e una diversa varietà di ospiti. In particolare, il genotipo 1 causa vaste epidemie veicolate dall’acqua in Asia e Africa mentre il genotipo 2 è meno diffuso e geograficamente confinato al Messico e in alcune aree  dell’Africa (Chad e Nigeria). Il genotipo 3 è prevalente nei paesi industrializzati (Europa, USA, Giappone), mentre il genotipo 4 è stato isolato in Cina e Giappone e più recentemente anche in Europa. I genotipi 3 e 4 sono inoltre normalmente presenti nei maiali, nei cinghiali e nei cervi e possono infettare l’uomo come ospite accidentale; pertanto si ritiene che sia HEV3 sia HEV4 abbiano un’origine zoonotica.
 
Nei Paesi in via di sviluppo il virus si trasmette principalmente per via feco-orale ed è responsabile di vaste epidemie veicolate da acqua contaminata. Durante le diverse epidemie di epatite E, i casi clinici si aggirano mediamente tra l’1% e il 15%, con picchi più elevati (fino al 30%) tra i giovani adulti di 15-35 anni di età; la trasmissione interpersonale è rara anche se sono stati riportati elevati tassi di trasmissione verticale di HEV da madri infette con significativi livelli di morbosità e mortalità perinatale.
 
In Paesi non endemici come Europa, Australia, Nuova Zelanda, Giappone e USA, l’epatite E è generalmente diagnosticata in viaggiatori di ritorno da aree endemiche, anche se in anni recenti è stato segnalato un numero crescente di casi sporadici autoctoni. Mentre i casi di infezione da HEV legati ai viaggi sono generalmente associati al genotipo 1, i casi acquisiti localmente sono causati dal genotipo 3 e, in misura minore, dal genotipo 4, entrambi genotipi diffusi tra i maiali, cinghiali selvatici e altri mammiferi. Recenti evidenze indicano che l’infezione da HEV di genotipo 3 può verificarsi in seguito al consumo di interiora o carne cruda/poco cotta di maiale, cinghiale e cervo; inoltre, è stata riscontrata la presenza dell’acido nucleico virale (HEV RNA) nel fegato di maiale in vendita in Francia, USA e Olanda. Negli ultimi anni è stato riportato che l’HEV può anche essere trasmesso per via parenterale attraverso trasfusioni di sangue, sia in paesi endemici che non endemici, ma l’entità del problema non è ancora stata ben definita.
 
Infine, la presenza di HEV3 è stata riscontrata in campioni ambientali, sia di liquami urbani che acque superficiali in Europa e USA.
 
Nei Paesi endemici l’epatite acuta E – causata dal genotipo 1 dal genotipo 2 – mostra segni clinici e sintomi simili a quelli dell’epatite A. Il periodo di incubazione varia da 2 a 10 settimane e il decorso della malattia è generalmente bifasico, e consiste in una fase pre-itterica (caratterizzata da sintomi prodromici quali febbre, anoressia, vomito, dolore addominale) seguita da una fase itterica (ittero, epatomegalia). La malattia è di solito autolimitante con normalizzazione dei valori degli enzimi epatici e guarigione nell’arco di poche settimane. Sono inoltre possibili casi di superinfezioni da HEV in pazienti già portatori di HBV o HCV: in questi casi il rischio di una prognosi sfavorevole appare più elevato. Durante le epidemie, il tasso di mortalità varia dallo 0.2% allo 0.4%, ma è molto più elevato nelle donne gravide (15-20%) – specialmente se l’infezione viene contratta nel terzo trimestre – dove causa epatite fulminate e complicazioni ostetriche. Nei Paesi industrializzati, i casi di epatite E autoctona sostenute dal genotipo 3 e dal genotipo 4 mostrano un andamento clinico generalmente simile a quello dei Paesi endemici. Tuttavia, i casi di epatite E diagnosticati in questi aree coinvolgono per lo più uomini adulti o anziani, frequentemente con storia di malattia epatica o abuso di alcool. Da notare che per le infezioni da HEV di genotipo 3 e 4 non sono mai stati osservati elevati livelli di mortalità nelle gestanti. La relativamente elevata prevalenza di anticorpi anti-HEV riscontrata nella popolazione sana dei paesi industrializzati paragonata alla bassa incidenza di casi di malattia, suggerisce che in questi Paesi molte infezioni da epatite E sono asintomatiche, non identificate o erroneamente diagnosticate.
 
Fino a poco tempo fa, si credeva che l’epatite E fosse una malattia autolimitante non in grado di cronicizzare. Tuttavia, nel 2008 in Francia per la prima volta sono state riportate infezioni persistenti da HEV di genotipo 3 in riceventi d’organo in trattamento immunosoppressivo. Successivamente è stato confermato che in pazienti immunodepressi – quali i trapiantati d’organo, i pazienti in trattamento chemioterapico o i soggetti infetti da HIV – l’infezione da HEV può evolvere a malattia cronica del fegato, inclusa la cirrosi.
 
Quanto è diffusa l’epatite E in Italia?
 
Studi condotti in Italia hanno mostrato che gli anticorpi anti-HEV sono presenti nel 1-3% dei soggetti testati nelle regioni del nord e del centro, e in circa il 3-6% di quelli testati nelle regioni del sud e delle isole. Nel 1999, in Italia è stato identificato un nuovo genotipo del virus dell’epatite E, il genotipo 3, in un paziente che non si era mai recato all’estero. Tale osservazione – contemporaneamente confermata in Grecia e Stati Uniti – ha suggerito che tale nuovo virus poteva essere originario dell’Europa e degli Stati Uniti. 
 
In uno studio da noi condotto è stato possibile osservare che in Italia circa un quinto dei soggetti con epatite ad eziologia non-nota (negative per epatite A, B e C) hanno un’epatite di tipo E e che circa il 16% di questi casi siano  dovuti a  infezioni autoctone di genotipo 3. Si ritiene che  la fonte  di tali infezioni sia di origine zoonotica.
 
Qual è il suo impatto in termini di salute pubblica e di medicina trasfusionale?
 
L’epatite virale E è un importante problema di sanità pubblica in diversi Paesi in via di sviluppo dove si manifesta sia con casi sporadici sia con vaste epidemie di origine idrica che causano un elevato numero di malati e decessi, questi ultimi soprattutto in donne gravide. Vaste epidemie di epatite E che hanno coinvolto diverse decine di migliaia di persone sono state riportate in Asia, Africa, America Centrale e Medio Oriente, laddove le condizioni igieniche sono ancora scarse. La prima documentata epidemia di epatite E ha causato oltre 29,000 casi itterici in India nel 1955-1956. Secondo recenti stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’HEV infetta ogni anno circa 20 milioni di persone con oltre 3 milioni di casi di malattia acuta conclamata e circa 60,000 decessi, soprattutto  nei Paesi in via di sviluppo.
 
L’epatite E è stata ampiamente sottovalutata per lungo tempo nei Paesi industrializzati dove la malattia veniva generalmente diagnosticata solamente in pochi casi legati a viaggiatori provenienti da  aree endemiche. La scoperta di un numero crescente di casi autoctoni di epatite E in Europa e Stati Uniti causati dal genotipo 3 di HEV – un virus come detto molto diffuso tra i maiali, cinghiali e cervi – ha dato nuova enfasi all’emergenza di questa malattia che si ritiene di origine zoonotica.
 
Ad oggi, quali sono le misure a disposizione per prevenire eventuali infezioni da virus dell’epatite E?
 
Come per tutte le infezioni trasmesse per via enterica, il miglioramento delle condizioni igieniche – attraverso l’implementazione di appropriati sistemi fognari per la raccolta dei reflui e la disponibilità di adeguati standard di potabilizzazione delle acque destinate al consumo – costituisce la prima barriera di difesa,  specialmente per i Paesi in via di sviluppo. Nei Paesi industrializzati per la prevenzione della diffusione zoonotica dell’infezione è raccomandata un’adeguata manipolazione e cottura della carne di maiale, cinghiale e cervo. L’epatite E viene raramente trasmessa per via trasfusionale; lo screening per HEV dei donatori di sangue è teoricamente possibile ma attualmente è ancora in discussione se la sua eventuale introduzione sia effettivamente necessaria. L’epatite E può essere prevenuta mediante la vaccinazione: sono stati finora sperimentati due vaccini ricombinanti contenenti VLP (virus like particles), uno dei quali è stato recentemente registrato e commercializzato in Cina. 
 
Il vaccino oggetto della sperimentazione, di cui abbiamo parlato in apertura, si è rivelato sicuro ed efficace (l’efficacia è stata pari al 95% nei dodici mesi successivi alla vaccinazione) e rimane immunogeno ed efficace anche a distanza di 4,5 anni dal completamento della somministrazione delle tre dosi previste (a 0, 1 e 6 mesi).
 
Tuttavia, una limitazione dello studio è che, essendo stato condotto in Cina, i risultati riguardano soprattutto il genotipo 4 del virus dell’epatite E, che è il ceppo più rappresentato in questo Paese. Sono dunque necessari ulteriori studi per stabilire l’efficacia di questo vaccino contro i ceppi endemici in altri Paesi. Nell’Asia meridionale e in Africa ad esempio, il genotipo 1 dell’HEV rappresenta la principale causa di epatite fulminante e provoca circa 70.000 decessi ogni anno.
 
“Avere a disposizione un vaccino contro l’epatite E – dichiarano gli esperti del CDC di Atlanta – servirebbe nell’immediato a controllare le epidemie in occasione delle crisi umanitarie; in un secondo momento potrebbe essere esteso come vaccinazione routinaria nelle popolazioni più a rischio, tra cui le donne in gravidanza.”
 
Gloria Pravatà
 
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