Video kill the diet of stars?

 
Arriva  dai ricercatori della Cornell University in Usa,  il risultato di una loro indagine per la quale esisterebbe  uno stretto legame fra gli show di cucina e i chili di troppo. Il nodo centrale sarebbe lo sguardo rivolto dai telespettatori ai cuochi vip. I protagonisti dei programmi di cucina, secondo i ricercatori, «vengono considerati delle autorità sull’ alimentazione e dal momento che il comportamento umano è influenzato da figure ritenute autorevoli, questi personaggi possono modificare la routine alimentare degli spettatori».
 
L’équipe ha lavorato su 500 donne di un’età media di 27 anni: è stato confrontato il peso di quelle che cucinavano e guardavano anche programmi di ricette in tv con le altre che si preparavano da mangiare ma non erano appassionate di queste trasmissioni. Sulla rivista scientifica “Appetite” il lavoro universitario: le prime pesano circa 6 chili in più delle altre. Anche perché guardare sempre le varie preparazioni rende “normali” e sani anche i piatti più elaborati e calorici. Anche il palinsesto delle Tv italiane è abbastanza “bulimico” in fatto di show, talent, tutorial, spazi dedicati al cibo, non sempre per fare “educazione alimentare”, quanto per promuovere (a dire degli autori) il gusto e la riscoperta di sapori e tradizioni gastronomiche che lo stile di vita attuale non permette di esercitare come un tempo.
 
Abbiamo interpellato il Prof. Marcello Ticca, medico, biologo e farmacologo, ma soprattutto esperto di nutrizione, Vice Presidente della Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione (www.marcelloticca.it) per approfondire le correlazioni fra cibo, mente e salute.
 
Professor Ticca, nella nostra sezione Focus dedicata alla letteratura scientifica, abbiamo pubblicato una metanalisi su una delle tante diete che hanno sedotto nel mondo, chi è alla ricerca della linea ideale o della taglia in meno. La Dieta dei gruppi sanguigni. Cosa ne pensa dal punto di vista nutrizionale? Al di là della fascinazione antropologica, ritiene possa esserci la correlazione o meglio l’evidenza scientifica proclamata dal suo autore e dai suoi “allievi”?
 
La cosiddetta “dieta dei gruppi sanguigni”, la cui finalità, secondo il suo ideatore, non sarebbe comunque quella di far dimagrire ma quella di mantenersi in salute, non ha mai retto a qualunque seria indagine tendente a verificarne la validità scientifica. E questo vale sia per i suoi presupposti teorici che per i suoi risultati pratici. Per quanto concerne i primi, è sufficiente pensare alla complessità della reale distribuzione geografica dei gruppi sanguigni, complessità ben superiore al teorema su cui si basa la dieta (i fattori ematici da prendere in considerazione sarebbero caso mai molti di più) e a quanto sia improbabile un collegamento preciso fra i gruppi stessi e la storia evolutiva e le migrazioni degli individui che ne sono portatori. Fra l’altro, la analisi filogenetica degli alleli umani ABO dimostrerebbe che il gruppo più ancestrale sia quello A e non il gruppo O, come postulato dal naturopata D’Adamo, ideatore della dieta  ( Calafell et al., 2008).
 
Per quanto riguarda le verifiche della validità scientifica, basti ricordare le revisione sistematica di tutti gli studi pubblicati sull’argomento, revisione effettuata nel 2013 da Cusack e coll. Ebbene, su di una mole di più di 1415 lavori pubblicati e indicizzati, soltanto uno (sul legame fra gruppo sanguigno e concentrazione ematica di LDL-colesterolo) presentava sufficienti caratteristiche di correttezza metodologica, ma con il difetto di base di valutare non il sistema ABO codificato dal cromosoma 9 ma quello MNS codificato dal cromosoma 4. Nel complesso, nessuno degli studi esaminati ha dimostrato chiaramente una relazione fra dieta associata al gruppo sanguigno e indicatori di effetti positivi per la salute. Infatti quelli che mancano sono studi che esaminino correttamente i marcatori di salute in persone che seguano tali diete,  in confronto con quelli di persone che seguano una alimentazione standard. Questo non è mai stato fatto in maniera esauriente, secondo il giudizio ci Cusack e coll.
 
Nel 2014 Wang e coll., della Univ. di Toronto, hanno tentato questa strada, esaminando in un grosso studio clinico controllato 1500 persone e mettendo a confronto la loro alimentazione (trenta giorni di diario alimentare) con una serie di parametri di rischio cardiometabolico, sia antropometrici che clinici e bioumorali e con il gruppo sanguigno di appartenenza: il relativo “punteggio” di aderenza alla dieta del proprio gruppo sanguigno  è stato messo a confronto con gli indici di rischio cardiometabolico. Ebbene, non è stata trovata alcuna evidenza a supporto dell’ipotesi di alterazione negativa degli indici di rischio in chi si alimentava in maniera discordante dal profilo ipoteticamente imposto dal suo gruppo sanguigno.  Gli unici effetti riscontrati sono stati semplicemente in accordo con una maggiore aderenza a quelle raccomandazioni nutrizionali che valgono per tutta la popolazione: in pratica è risultato che è il tipo di alimentazione proposto ad essere più salutare (più ortaggi e frutta, più pesce, ecc.), il che può fra l’altro anche spiegare il perché vi siano persone che affermano genericamente di stare meglio seguendo la dieta del gruppo sanguigno.
 
In sintesi, la capacità di risposta ad un alimento o ad uno stile alimentare è il risultato di una complessa rete di interazioni che non può certamente dipendere soltanto dal far parte dell’uno o dell’altro gruppo sanguigno. La ricerca ci va sempre più dimostrando quanto complesse siano le relazioni fra genetica e alimentazione. E’ fuor di dubbio che il nostro corredo genetico influenzi la risposta del nostro organismo agli alimenti ed alla dieta in generale. Però non dobbiamo mai dimenticare che i fattori in gioco sono così tanti e così complessi, oltre che conosciuti finora in piccolissima parte, che ridurre il tutto a quattro sole grandi categorie che dipendono soltanto dal gruppo sanguigno è banale e superficiale.
 
Ma non basta. Al nutrizionista preme anche sottolineare, sotto il particolare ed importantissimo profilo della qualità della alimentazione, che seguire abitualmente questo tipo di dieta fa sì che in molti casi si finisca con il  tagliar fuori dalle abitudini quotidiane interi gruppi di alimenti, il che inevitabilmente altera la buona regolazione di molti indispensabili  equilibri dietetici e rischia di provocare, a lungo termine, carenze e squilibri rispetto a svariati nutrienti essenziali, con tutti i conseguenti e ben noti pericoli per la salute.
 
Dal suo osservatorio privilegiato, prima di ricercatore, poi di clinico , ma anche  divulgatore, quali sono gli “errori” più frequenti che ha riscontrato nel comportamento alimentare che possono intendersi  “strutturati”?
 
Il buon senso e l’esperienza clinica ci dicono che la massima parte di coloro che sono obesi o in sovrappeso potrebbero alleviare o risolvere il problema semplicemente svolgendo una vita fisicamente più attiva, per contrastare l’epidemia di sedentarietà che è tipica della odierna società, e riducendo l’apporto calorico, ossia mangiando di meno ma di tutto, suddividendo la propria alimentazione quotidiana in 3 pasti e 1 o 2  spuntini e privilegiando i cibi di grande volume e bassa densità energetica, come gli  ortaggi  e certi tipi di frutta. Un altro errore frequente è quello di volersi imporre dei “modelli” (magari paragoni con silhouette ritoccate con “Photoshop”) e  ostinarsi a voler raggiungere un peso troppo ridotto in rapporto all’età (persone in età matura che inseguono insensatamente il peso dei 20 anni, che per loro non è ormai più il peso “desiderabile”), pensiamo a certe adolescenti dalla taglia atletica che si alimentano male o addirittura digiunano per adeguarsi ai dettami della moda, ecc. Sono errori di valutazione della propria struttura  e taglia fisica e dei giusti rapporti che devono esistere fra massa magra e massa grassa in relazione al sesso e all’età.  Alla loro base c’è naturalmente la scarsa cultura specifica  provocata dalla mancanza di una educazione alimentare nella nostra scuola e nella nostra società.
 
Ritiene dunque che gli italiani abbiamo non abbiano acquisito una sufficiente  consapevolezza che “siamo ciò che mangiamo”? Affidarsi al “fai da te” o alla dieta da rotocalco è ancora molto diffuso o si sta formando una coscienza critica su cibo e salute?
 
Direi che manca ancora  il buon senso e l’umiltà di richiedere i  consigli di un medico esperto in alimentazione, o anche del proprio medico di famiglia, per avere le idee più chiare e per evitare di farsi abbagliare dalle mode del momento, anche se presentate da canali apparentemente ufficiali, quali TV e giornali. Mode, appunto,  che però inducono fin troppe persone ad adottare comportamenti alimentari che possono nuocere alla salute.Il settore delle diete dimagranti, essendo redditizio e molto di moda,  la definirei una vera e propria “industria del dimagrimento”, è letteralmente infestato da dietologi improvvisati (secondo una recente indagine su 14.000 “dietologi” ben 11.000 non hanno né le competenze né i titoli necessari per svolgere tale attività) i quali spesso, all’insegna del “tutto e subito”, divulgano le teorie più irrazionali e clamorose, distogliendo l’attenzione dalle vie suggerite dalla logica e dalla scienza. Questi “dimagratori” in servizio permanente effettivo, pur di ottenere quel rapido calo di peso che tanto soddisfa i pazienti meno avvertiti, propongono una serie di “scorciatoie” consistenti in metodologie e diete severe e squilibrate, spesso corredate da nomi esotici, quali le diete iperproteiche spinte che aboliscono i carboidrati, il pericoloso digiuno idrico integrale, le assurde diete monocibo, le diete che escludono intere classi di prodotti sulla base di inaffidabili test per le intolleranze alimentari (le quali ben poco hanno a che fare con l’aumento del grasso corporeo), ecc..  E la ricerca un po’ folle della soluzione miracolosa porta inevitabilmente anche al proliferare di “integratori dimagranti” del tutto inefficaci nonché purtroppo alla somministrazione,  rischiosa quanto redditizia per chi la propone (anche attraverso la vendita su Internet!) , di miscele di farmaci spesso spacciate per capsule omeopatiche o di erbe: inutili, se va bene, ma dannose nella maggior parte dei casi.
 
E’ l’anno dell’Expo, con il tema “Nutrire il pianeta”, mi hanno colpito un  paradossi : i due main sponsor sono Mc Donald e Coca Cola…nel paese della dieta mediterranea . Quanto conta la pubblicità sulla formazione alimentare di un adolescente?
 
“Forse il marketing delle aziende alimentari, corroborato da passaparola “social”, ha una fascinazione e un impatto sui giovani che le linee guida proposte da enti istituzionali o medici non riescono ad avere. In questo dovrebbe aiutarci la scuola e in effetti molti istituti organizzano parallelamente ai programmi scolastici, corsi di educazione alimentare, visite a fattorie e centri ove si può imparare come nascono gli alimenti, al di fuori dei cibi preconfezionati e da scaldare al microonde. Inoltre occorre anche guardarsi dal demonizzare alcune classi di alimenti (zuccheri e grassi) che certamente in dosi eccessive possono procurare danni all’organismo, ma la totale eliminazione o sostituzione con “succedanei” è altrettanto pericolosa e produce risultati effimeri. Una bilancia che scende non mi garantisce che la strada scelta sia efficace, talvolta certe repentine eliminazioni di nutrienti si traducono in calo di peso repentino, ma  favoriscono immancabilmente recuperi altrettanto rapidi e spesso ancor più cospicui, con ripercussioni sia sul piano dell’umore e del morale che su quello fisico e del metabolismo (ad esempio, modificando la composizione corporea con indesiderati aumenti della massa grassa). L’unica “dieta” che serve non ha nulla a che fare con miracoli, pillole o alchimie: equilibrio, forse è la parola magica!”.
 
Ciliegina sulla torta, a fare autocritica sull’abbuffata di informazioni, spesso scorrette, che in maniera alterna condannano e poi assolvano dopo vari gradi di giudizio, alcuni alimenti, sono gli stessi esperti. Lo scorso mese di marzo, riuniti a Firenze nel Convegno “Food Science&Food Ingredients: the need for reliable scientific approaches and correct communication”, i soci di Anmco (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri) si sono confrontati sulle strade da seguire per avere un approccio corretto sull’alimentazione, fuor di ricetta proposta da chef stellati o talentuosi o avventurieri del dimagrimento “fast-no food”.
 
“Il cibo è un sistema complesso: mentre da un lato è oggetto di attenzione mediatica quasi morbosa, è l’informazione sulle caratteristiche nutrizionali di ciò che mettiamo in tavola- ha spiegato Michele Giustizia, Presidente Nazionale Anmco- emblematico è il caso dei grassi, troppo spesso demonizzati e il cui corretto utilizzo è stato riabilitato dopo 40 anni di terrorismo informativo. Ma la disinformazione sugli alimenti interessa anche i carboidrati, le proteine e le diete riduttive che escludano intere fasce di nutrienti o singoli elementi anche in assenza d’indicazioni mediche che giustifichino questi comportamenti. Notizie che a volte influiscono sulle scelte alimentari e sui comportamenti di fasce di popolazione”.
 
Non possiamo che sperare in maggiori e complete informazioni attraverso l’Expo 2015, che aprirà a breve i battenti a Milano: Nutrire il pianeta, ma con quale energia?
 
Gloria Pravatà