29/11/2019 – Contrarre un’infezione da HIV, ma anche da epatite, tramite una trasfusione di sangue in Italia è una possibilità remota, di molto inferiore a quella di rimanere coinvolti in un incidente aereo, grazie ai nuovi test, sempre più sensibili, e alle altre misure adottate per garantire la sicurezza. Lo ha dimostrato uno studio coordinato dal Centro nazionale sangue e diffuso in occasione Giornata mondiale contro l’AIDS, indetta ogni anno il 1º dicembre, secondo cui le probabilità di infezione da HIV sono comprese tra 1 su due milioni e uno su 45 milioni, a seconda del metodo di calcolo usato.
“In ambito scientifico una probabilità inferiore a uno su un milione viene considerata trascurabile (Transfusion-transmissible infections in Australia 2018 Surveillance Report. Serious Hazards of Transfusion. UK Annual Report 2017), e i dati sono confermati dal fatto che dal 1995 non registriamo infezioni trasmesse da trasfusioni – sottolinea Giancarlo Maria Liumbruno, direttore generale del Cns -. I test a cui viene sottoposto il sangue donato, che non può essere utilizzato prima dell’esito negativo, sono uno dei pilastri che garantiscono la sicurezza, insieme al questionario e al colloquio con il medico, che riducono la possibilità che doni una persona che potrebbe aver avuto un comportamento a rischio, ma la prima garanzia viene dalla scelta etica di utilizzare sangue proveniente solo da donazioni volontarie, anonime, periodiche e non remunerate”.
Per il rapporto, realizzato con esperti dell’istituto Superiore di Sanità e dal Dipartimento di Scienze Biomediche per la salute dell’Università degli Studi di Milano, sono stati usati i dati sui donatori positivi ai test per HIV ed epatite B e C che vengono effettuati sul sangue ad ogni donazione, raccolti tra il 2009 e il 2018. Il cosiddetto ‘rischio residuo’, cioè la probabilità che ci sia un contagio tramite trasfusione, è stato calcolato con tre diversi metodi: il primo viene maggiormente utilizzato in ambito scientifico, mentre gli altri due – più semplificati – vengono suggeriti dalla European Medicine Agency – EMA e dalla Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS. Qualunque metodo si adotti, il rischio residuo di contrarre una infezione per via trasfusionale è drasticamente diminuito nei 10 anni di osservazione (2009-2018): per HCV il rischio è passato da 1 unità su 10 milioni a 1 su 15-45 milioni di donazioni. Per HIV, nello stesso periodo, da 1 unità su 1,2 milioni di donazioni a 1 su 2 – 45 milioni. Per HBV da una unità su 625.000 a 1 su 1,8 – 2,6 milioni.
I test che si basano su tecniche di biologia molecolare (NAT test) introdotti nello screening dei donatori negli ultimi anni, sottolinea il rapporto, hanno permesso di ridurre il cosiddetto ‘periodo finestra’ in cui il virus, pur presente nell’organismo, non veniva trovato con i comuni test, che si è notevolmente ridotto. Questo ha permesso di intercettare anche alcuni donatori positivi ‘sfuggiti’ alle maglie del colloquio preliminare. Tra il 2009 e il 2018 sono state riscontrate alcune centinaia di positività all’anno, maggiori nei nuovi donatori rispetto ai donatori periodici. Per l’epatite B si registra una diminuzione delle positività nel tempo, dovuta alla sempre maggiore presenza di donatori nati dopo il 1980 e quindi vaccinati. “La rigorosa sorveglianza epidemiologica sui donatori di sangue, che coinvolge tutto il sistema trasfusionale italiano, è la premessa essenziale per ottenere queste informazioni che sono di primaria importanza per la sicurezza della terapia trasfusionale e per la corretta informazione al paziente che di questa terapia salva-vita ha necessità; inoltre, queste informazioni ci consentono anche di confrontare i dati italiani con quelli internazionali e il risultato è lusinghiero per la realtà italiana” precisa Claudio Velati (esperto di malattie infettive trasmissibili con la trasfusione, pastPresident della Società Italiana di Medicina Trasfusionale e Immunoematologia – SIMTI – e responsabile scientifico del progetto di sorveglianza delle malattie trasmissibili con la trasfusione condotto dal CNS in collaborazione con SIMTI).
COME È GARANTITA LA SICUREZZA DEL SANGUE La prima garanzia della sicurezza del sangue, in Italia, deriva dalla scelta di rendere la donazione un atto volontario, gratuito e anonimo e che la stragrande maggioranza dei donatori compie con periodicità, un altro pilastro della sicurezza. Non donando ‘per qualcuno’ in particolare e non essendoci nessuna forma di ricompensa si evita che si presentino a donare persone con motivazioni diverse dall’altruismo. Prima della donazione si deve poi compilare un questionario, contenente domande volte ad approfondire eventuali comportamenti a rischio del donatore, malattie pregresse e terapie in corso, e sottoporsi a visita con il medico esperto nella selezione dei donatori di sangue. L’esito della compilazione del questionario e della visita determineranno l’idoneità o meno del donatore. Tutte le sacche di sangue donato vengono poi sottoposte ai test per la ricerca dei virus HBV, HCV, HIV e del Treponema responsabile della sifilide; in particolari periodi dell’anno, a questi test possono aggiungersi ulteriori analisi per la ricerca di altri virus come il West Nile Virus. Le donazioni verranno utilizzate solo se gli esiti dei test effettuati risulteranno tutti negativi.